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4.5
Jack Quiggins e Ryan Jennings (che non so perché, ma mi ricordano nomi da pirati) l'hanno rifatto, sono rientrati in studio, stavolta solo loro due e Jack Ryan, e sono tornati a riempire l'etere con la loro musica "stoned", fatta di country cosmico, Grateful Dead bucolici, del colore viola dei New Riders, dei burritos volanti, qualcosa di grassy, qualcosa dei Byrds e, per finire, pure qualcosa di squisitamente loro. Più qualche sostanza, sicuramente. Tutto bello, tutto frullato benissimo, per undici canzoni al fulmicotone, che non finiscono per cantarsi addosso l'una con l'altra ma che, anzi, hanno abbastanza spina dorsale da stare in piedi da sole. Mi era già piaciuto parecchio l'esordio prodotto da Margo Price, uscito due anni fa, e questo "Down Home" è forse anche meglio, più quadrato, sono ormai una band con una fisionomia precisa, non solo un duo di turnisti di Nashville, e le canzoni sono ben scritte: la tonica "Bullet", "Golden Light", la grassy "Mountain Girl" (che era, guarda caso, il nomignolo della fidanzata di Garcia), "Hippies", tutta un programma, ci raccontano di un'America alla Easy Rider, ferma lì, nonostante il buio avanzi anche da quelle parti. La musica country, o quantomeno questa, ci racconta ancora di un mondo altro, magari un po' straccione, indolente, ma è l'America che si ama e che si è sempre amata. La cavalleria leggera dei Rough Riders spazza le pianure con il suo ritmo ubriaco e, un po', anche trascinandosi dietro fantasmi importanti. Non importa, dischetti così, poco più di mezz'ora, tengono il buio un po' più lontano.